09 Marzo 2021, 10.27
Blog - Cartoline dalla Valle Sabbia

La valle dell'Agna, storicamente nota come «la Degagna»

di Alfredo Bonomi

A Vobarno, quasi al centro del paese, sulla destra per chi viene da Brescia, l’acqua del torrente Agna si mescola a quella del Chiese..


Quella della Valle Sabbia, per buona parte, è storia d’acqua perché molti paesi han visto pulsare le loro attività per l’abbondanza di acqua disponibile.
Se questo vale in generale, vale ancor di più per la convalle laterale che, proprio dal nome del torrente, prende il nome di Valle dell’Agna, anche se è notoriamente conosciuta come “la Degagna”.

Questo nome, con molta probabilità, deriva dal termine “Decania”, che in epoca longobarda indicava una suddivisione territoriale alla quale corrispondeva una determinata consistenza abitativa.
Il territorio dell’antica Pieve di Vobarno era diviso in quattro “Decanie”; solo la valle dell’Agna ha mantenuto questa denominazione. La valle non presenta orizzonti vasti, è però carica di intensa poesia e “parla” di un passato denso di fatti.

La strada, che la percorreva sin dall’antichità, era determinante per l’importanza della Pieve e del paese di Vobarno perché era il percorso più breve per giungere dalla bassa valle nel Trentino e quindi nel “mondo del nord” attraverso il passo del Cavallino della Fobbia, Capovalle e la Val Vestino.
Era una vera scorciatoia sulla quale hanno transitato viandanti comuni, uomini di commercio, di fede e, purtroppo, eserciti spesso invasori.

La valle merita assolutamente una visita non con spirito frettoloso perché è un “piccolo universo montano” che sintetizza quasi tutte le caratteristiche della più ampia Valle Sabbia.
Gli estesi boschi, l’acqua costante dell’Agna e di altri torrenti minori, sono stati una preziosa risorsa per far fiorire per secoli la lavorazione del ferro in fucine e forni fusori sparsi lungo le rive del torrente.

La geografia ha certamente avuto un suo ruolo preciso
. La valle, comunicante col Trentino, è separata dal lago di Garda da un imponente sistema montuoso, con i monti Spino e Zingla che s’innalzano maestosi a disegnare l’orizzonte.
Ma queste montagne non significavano isolamento perché sentieri di alta quota portavano in Riviera, con fitti interscambi umani e commerciali.

Gli uomini non solo faticavano nei campi, ma piegavano il ferro trasformandolo in svariati attrezzi.
Si era così venuto a creare un gruppo di ragguardevoli famiglie che esportavano i prodotti delle loro fucine anche in “mercati” lontani, importando idee e nuovi stimoli lavorativi.

Il dotto Fabio Glissenti, segretario dell’Ateneo di Brescia, alla fine dell’800 così scrive: «...Le montagne sempre ospitali in ogni età diedero ricetto ai profughi del piano, sospinti da ire politiche o religiose a cercare pace e ricovero nei paesi più solinghi e chiusi.
I Federici di Gorzone, di Montecchio, di Cemmo e di Mu, fieri ghibellini e ribelli a Venezia, dopo che videro demoliti i loro castelli e condannati a morte i loro capi, emigrarono in Degagna, vi crebbero numerosi a popolare quelle villette, ed ora fra chiodaroli e cavallanti si mostrano ad ogni piè sospinto i discendenti barbuti e vigorosi dei più potenti feudatari della Val Camonica».


Non ci sono dati storici sicuri per avvalorare questa tesi; più realisticamente può essere avvenuto il trasferimento di un solo ceppo dei Federici.
La tesi è però affascinante perché giustifica meglio la nascita dell’abbondante attività siderurgica condotta per molto tempo da famiglie ingegnose, dal carattere forte, come quel Giovanni Viani (secondo la tradizione i Viani della Degagna erano di origini piemontesi), noto all’epoca in tutta la Valle Sabbia per i suoi copiosi possedimenti.

Secondo una documentazione del 10 giugno 1816 e la nota del 29 aprile, sempre del 1816, del Consiglio delle Miniere, nelle varie località della Valle possedevano “officine da ferro”, con al centro il “forno grosso” di San Martino, Tabarelli Giovan Battista e Bortolo, Viani Francesco, i fratelli Giacomo e Alessandro Viani, Carlo Viani, Federici Giuseppe, i fratelli Pasini Antonio e Battista, Scudellari Giovan Andrea, Scudellari Bernardino, la famiglia Zanni ed Antonio Zanotti.

Accanto al ferro e alla sua lavorazione era rimasto il bellissimo marmo nero di paragone di Eno che è servito per la tomba di Carlo V e, in un ambito più vicino, per l’abbellimento della Loggia e della Chiesa dei Miracoli a Brescia.
Un dato è certo ed evidente.

La Degagna ha una storia ed una “civiltà locale” ragguardevoli.
Ne parlano i documenti, le tradizioni, ciò che rimane delle strutture operative per la lavorazione del ferro, ma soprattutto il decoro delle dimore, che si stringono attorno alle chiese, ancora ben visibile all’occhio attento che sa distinguere ciò che è originale e ben misurato dagli “accomopdamenti” dovuti al tempo più recente, scandito spesso dalla fretta e dai modelli costruttivi di massa.

Il tutto è abbracciato da una natura bellissima, dove le sfumature del colore si rincorrono, le asprezze delle rocce si accompagnano a poggi meno aspri, per dar corpo poetico ad una “vera” valle e ad ancor più vera zona montana a “due passi” dalle zone pianeggianti.

Alfredo Bonomi

.in foto: uno scorcio sull'abitato di Eno



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